Storia Italia, Storia moderna e revisionismo

L’I.N.P.S. FU FONDATO DAL FASCISMO COL NOME I.N.F.P.S. “ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DELLA PREVIDENZA SOCIALE” E OPERAVA ANCHE NELLE COLONIE

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di  Alberto Alpozzi

 

Breve storia della nascita dell’IN(F)PS “Istituto Nazionale (Fascista) di Previdenza Sociale”

 

La Previdenza Sociale nasce oltre cento anni fa, nel 1898, con lo scopo di garantire i lavoratori dai rischi di invalidità, vecchiaia e morte. Era la Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Ma si trattava esclusivamente di un’assicurazione facoltativa e volontaria, finanziata prevalentemente dai contributi versati dai lavoratori, che poteva essere integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e da un contributo libero da parte degli imprenditori.

 

Non essendo obbligatoria, riscosse adesioni limitate. Venne quindi introdotta nel 1904 l’obbligatorietà per i dipendenti pubblici e nel 1910 per i ferrovieri.

 

Nel 1919, con il governo Orlando, venne istituita la CNAS “Cassa nazionale per le assicurazioni sociali” l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia. Divenne obbligatoria e riguarderà circa 12 milioni di lavoratori.

 

Nel 1924, il Governo Fascista, costituisce per la prima volta quello che sarà l’antenato del TFR “Trattamento di fine rapporto”cioè un’indennità da concedere al lavoratore licenziato.

 

Nel 1933, con regio decreto legge 27 marzo 1933, n. 371 , la CNAS assume la denominazione di INFPS “Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale”, ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica e gestione autonoma. Primo presidente fu Giuseppe Bottai a cui successe nel 1935 Bruno Biagi.

 

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Regno delle Due Sicilie, Storia moderna e revisionismo

COME E PERCHE’ LA MASSONERIA DECRETO’ LA FINE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE

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La vera storia della spedizione dei mille.

 

La spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale, ha il sapore di un’avventura epica quasi cinematografica, compiuta da soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud, combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito molto più numeroso, poi risalgono la penisola fino a giungere a Napoli, Capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su per dare agli italiani la nazione unita.

 

Troppo hollywoodiano per essere vero, e difatti non lo è. La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti coi quali furono comprati diversi uomini chiave dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi che agli inglesi non mancherà mai di dichiarare la sua gratitudine e amicizia.

 

I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna, Roma, Torino e Milano e, naturalmente, Napoli forniscono documentazione utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che spazzò via il Regno delle Due Sicilie non certo per mano di mille prodi alla ventura animati da un ideale unitario.

 

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Dominio potere e violenza, Economia e lavoro, Monolandia, Società e politica

REPRESSIONE FISCALE. UNA PASTICCERIA IN TOSCANA: 759,00 € di stipendio al mese e 44.000,00€ di tasse da pagare!

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(di Alessio Bini)

 

Il vuoto massimalismo di chi non ha mai gestito neanche un chiosco vuole imporre una serie di norme restrittive a chi invece del proprio lavoro vive. Vi presentiamo un caso pratico di un’azienda, teoricamente in utile, che invece chiude lasciando a casa datori di lavoro e dipendenti. Si ringrazia il PdC  Conte ed il Ministro Bonafè per la loro assidua attività a favore dell’Italia. 

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E poi li chiamano evasori. I benpensanti chiedono come facciano i negozianti e gli artigiani a stare aperti, quando guadagnano meno dei loro stessi dipendenti. Dicono che per forza facciano nero.

Ma quando c’è di fronte un caso concreto, anche il più ottuso si deve rendere conto che le tasse sono davvero insostenibili e i piccoli imprenditori sono davvero degli eroi.

Una pasticceria toscana, nemmeno troppo piccola, ha messo a disposizione i suoi bilanci per capire come mai, nonostante il lavoro, abbia dovuto chiudere.

Aveva anche il reparto bar e 4 dipendenti più il titolare. 210mila euro di incassi. Niente male, in tempi di crisi.

Di questi 210mila euro, solo 118mila dalla pasticceria e dal bar, 79.756,00 dai servizi di catering e 8mila dai buoni pasto. E per arrivare ai 210mila euro di entrate, ci sono le rimanenze di magazzino: 5mila euro! Il primo problema, infatti, è che c’è uno scollamento tra il Bilancio contabile e la vita reale. Questa pasticceria se l’è cavata soltanto con 5.000,00 € di Rimanenze finali. Ma ci sono attività con utile reale pari a zero e un magazzino di 30.000,00 € o più, che le fa sembrare in utile. E’ dal 1992 che le Rimanenze sono considerate un guadagno. Prima di allora erano un costo, come è normale che sia. Per gli esperti e per gli amanti dei paroloni, si tratta della riclassificazione del Bilancio al valore della produzione, anziché al valore del venduto.

Al netto dei costi, alla fine l’utile risultante è di 26.149,00 €. Se fosse così, il titolare avrebbe lavorato per 2.149,00 €. Ma così non è. Togliamo i 5.000,00 € di rimanenze finali: 21.000,00 € di utile.

Poi bisogna pagare le tasse!

 

Irpef € 5.823,49 
Add.le regionale € 373,94
Add.le Comunale € 156,90
Irap € 3.531,01
Inps Titolare € 2.800,00
Totale  € 12.685,34

 

L’utile rimasto, alla fine, è di 9.114,44 €, ovvero 759,54 € al mese, senza tredicesima, senza TFR, senza malattia, né ferie. Questa è la vita di molti negozianti e artigiani.

Se fosse stato un investimento di capitale, la pasticceria avrebbe reso appena il 4,5% e sarebbe considerato un investimento ad alto rischio. Nessun investitore sano di mente avrebbe rischiato il proprio capitale per il 4,5%. Mentre il nostro pasticcere ha rischiato tutto il suo capitale e ci ha messo pure il lavoro e, alla fine, ha dato lavoro per anni a 4 dipendenti. Ecco perché i piccoli imprenditori sono degli eroi.

Le tasse però vanno pagate, sotto qualsiasi nome si presentino. Alle 12.685,34 € vanno aggiunti 21.000,00 € di Iva al 10% e poi 10.067,00 euro di contributi ai dipendenti: totale 44.098,50 €!

Molti diranno: ma l’Iva è una partita di giro. No, se l’incasso della pasticceria fosse diminuito di appena il 10%, il titolare si sarebbe trovato costretto a scegliere se pagare l’Iva o l’affitto, gli stipendi o i fornitori.

Molti altri diranno: ma i contributi ai dipendenti vanno pagati, se no lo Stato non può garantire loro la pensione e i servizi sociali. No, perché lo Stato non deve funzionare come una compagnia assicurativa privata che incassa e poi paga. Lo Stato deve essere il garante ultimo e prima della crisi funzionava così. In ogni caso, se gli incassi non fossero stati sufficienti, il nostro pasticcere come avrebbe potuto pagare i contributi dei dipendenti?

Riassumendo: 210.434,00 € ricavi totali, 797,10 € di incasso giornaliero, dei quali solo 34,50 € per lo stipendio del titolare per arrivare a totalizzare la fantasmagorica cifra di 759,00 € al mese. Ovvero sui 22 giorni aperti al mese, soltanto uno va al titolare. Ma attenzione: niente è sicuro. Se gli incassi scendono a 760,00 €, quel giorno niente stipendio per il titolare. Basta qualche caffè e qualche budino di riso in meno, per vedersi sfumare lo stipendio.

Se poi gli incassi scendono a 700,00 €, il titolare deve scegliere se rimettere in cassa 50,00 €, oppure se non pagare un fornitore, un dipendente o non pagare il Fisco. Ovviamente, sceglierà l’unica voce rimandabile, ovvero il Fisco.

Questo imprenditore, per l’attuale Governo, è un evasore che rischia il carcere, perché è facile in un’attività così accumulare più di 50mila euro di tasse non pagate. Basta andare in crisi un anno.

Poi ci pensa Equitalia (che oggi si chiama “Agenzia delle Entrate e Riscossione”) a raddoppiare la cifra, con interessi, aggi e more.

Per il Dizionario Treccani, un evasore è «chi si sottrae in tutto o in parte all’obbligo tributario, mediante l’occultamento di imponibili o di imposta». Non è evasore chi dichiara tutto e poi si trova nell’impossibilità di pagare, perché le tasse sono insostenibili. Questo è un caso concreto, verificabile e comune a moltissimi negozianti o artigiani.

Naturalmente, il nostro pasticcere si è dovuto barcamenare tra gli incassi che andavano su e giù e dopo 10 anni di crisi, non poteva continuare a vivere con 759,00 € mensili. Ha accumulato cartelle Equitalia ed è riuscito a vendere la propria pasticceria alla fine del 2018, sperando che vada meglio al nuovo proprietario. Molti altri hanno dovuto semplicemente chiudere, senza un’alternativa di lavoro.

 

Fonte: sms di Alessio Bini, da scenari economici.it  del 22 ottobre 2019

Link. https://scenarieconomici.it/repressione-fiscale-una-pasticceria-in-toscana-75900-e-di-stipendio-al-mese-e-44-00000e-di-tasse-da-pagare-di-alessio-bini/?fbclid=IwAR0U6AhpPbNeya3CjxGQVzPziX0Bj0PD11HWjOBvUugI3ts1sAJd-sM60-k

 

Natura e scienza

CHE COSA CAUSA L’ODORE DELLA PIOGGIA?

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Meglio saperlo, visto che lo sentiremo spesso: così potremo esclamare consapevolmente cose tipo “ah, che bel petricore!”

 

Piove sui giusti e sugli iniqui, come diceva quello, e dopo resta sospeso nell’aria un buon profumo, che di solito sa di pulito e di terra. Come spiega Karl Smallwood su Gizmodo, il familiare profumo di pioggia è il risultato della combinazione di tre diverse fonti, dovute a una serie di reazioni chimiche e fisiche.

 

Ozono
La prima fonte, quella che ci fa dire di sentire profumo di pulito soprattutto dopo un temporale, è l’ozono. Le molecole di ozono sono formate da tre atomi di ossigeno. Ha un odore pungente che ricorda abbastanza quello che si sente in piscina a causa del cloro, disciolto in acqua come disinfettante. I fulmini che si formano durante i temporali possono causare la rottura delle molecole di azoto e di ossigeno, portando alla formazione dell’ozono, che viene poi portato a bassa quota dalle correnti che si formano tra le nuvole. Per questo motivo molte persone avvertono il profumo della pioggia ancora prima che arrivi, soprattutto d’estate, perché l’ozono può essere trasportato dai venti a grande distanza e precedere l’arrivo del temporale.

Il naso umano riesce a distinguere facilmente la presenza dell’ozono nell’aria. In media basta che siano presenti 10 parti di ozono per miliardo per percepire l’odore di pioggia. È un bene che il nostro organismo riesca a distinguerlo così facilmente: in alte concentrazioni l’ozono è molto pericoloso perché può danneggiare i polmoni. Alle concentrazioni in cui si trova durante un temporale e più in generale nell’aria che respiriamo tutti i giorni è invece innocuo.

 

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Dominio potere e violenza, Economia e lavoro, Monolandia, Padania, Società e politica

LO STATO ITALIANO È BEN PEGGIO DELLA MAFIA: INDIPENDENZA!

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di GILBERTO ONETO

 

Un rapinatore punta la pistola o il coltello,  intima «La borsa o la vita!» e prende i soldi.

Se è proprio un bastardo tira un cazzotto, se lo è un po’ meno insulta, se è “normale”  se ne va in silenzio, se è un raro esemplare di “brigante galantuomo” ringrazia e chiede scusa per il fastidio.

Le organizzazioni criminali hanno inventato un più efficiente sistema di rapina continuata tramite il pizzo:  a fronte della tranquillità o di una protezione chiedono una percentuale sugli incassi o un tot fisso che è sicuramente pesante per chi lo deve pagare ma che è sempre misurato all’attenzione da parte dell’estortore a non esagerare, per non uccidere la sua fonte di “reddito”.

Le varie mafie si prendono perciò una parte “ragionevole” delle ricchezze o dei guadagni delle loro vittime ma poi garantiscono un servizio, stabiliscono una sorta di monopolio dell’estorsione, impedendo a chiunque altro di farlo e con ciò proteggendo la vittima-cliente da ogni altro malintenzionato. E quando qualche furbetto si presenta con armi o minacce, viene immediatamente punito con rapidità, efficienza e durezza. La recente vicenda del marocchino che aveva incautamente rapinato e ammazzato a Roma un “portavalute” cinese e che è stato trovato “suicidato” tre giorni dopo la dice lunga su come funzionino queste cose, e anche come l’ambaradan abbia assunto connotazioni multietniche che faranno felici il ministro Riccardi e Don Gallo.

 

Lo Stato italiano è un rapinatore ben peggiore, è molto peggio di tutte le mafie, camorre, ‘ndranghete pelasgiche, albanesi e cinesi messe assieme. É molto peggio del peggiore dei tagliagole e dei borseggiatori di strada.

 

É assai più infame per tre motivi.

 

Primo. É sadico: non si limita a rapinare le sue vittime ma lo fa con i sistemi più efferati, crudeli, complicati e vessatori. Deruba a rate, con scadenze demenziali, costringendo le sue vittime a operazioni complesse e micraniose: bollettini, conto correnti, bonifici, comunicazioni via Internet, bolli, pagamenti, compilazioni, sovratasse, dichiarazioni, moduli e via sadicheggiando. Non soddisfatto, costringe i rapinati a un supplemento di salasso a vantaggio di commercialisti, avvocati, tributaristi, patronati, sindacati e psicanalisti.

 

Secondo.  Non dosa i suoi furti in funzione della capacità delle vittime a sopportare la violenza evitando di uccidere la mucca da mungere, ma chiede cifre spropositate, elargizioni mostruose che più o meno rapidamente gettano sul lastrico le vittime precludendo ogni ulteriore possibilità di rapina. Nessuna mafia al mondo chiederebbe un pizzo del 60-70% dei redditi delle sue vittime: la Repubblica italiana lo fa e peggiora di giorno in giorno. Le sue vittime moriranno schiacciate dal peso del furto, e morirà anch’essa per mancanza di vittime da dissanguare: e questa è la sola notizia positiva.

 

Terzo. A fronte dei pagamenti, lo Stato italiano non garantisce nessuna protezione: non impedisce che altri taglieggino le sue vittime, non le libera da furfanti e ladri di ogni genere che si accaniscono su quello che resta, non assicura la tranquillità del quartiere come riesce a fare l’ultimo dei camorristi. Non solo: se una vittima si difende, lo Stato prende le parti dell’aggressore e punisce ogni tentativo di reazione. Non si è mai vista una organizzazione criminale “seria” che pretenda il pizzo per garantire la tranquillità e che, non solo non lo faccia, ma che punisca i propri “clienti” che abbiano cercato di reagire alla concorrenza che va a rapinarli. Solo lo Stato italiano ci riesce, e pretende anche di fare la morale, con le sue leggi, i suoi tribunali i suoi sapientoni che ripetono a macchinetta che questa è “la patria del diritto”.

 

In questi giorni, tanto per non lasciare dubbi, lo Stato apre le galere e slarga un bel po’ di mascalzoni che andranno – per prima cosa – a procurarsi soldi dai cittadini, per potersi “reinserire nella società”, per rifarsi della noia delle giornate passate in gattabuia. I cittadini non sono protetti dallo Stato e alla fine trovano la sola difesa nella totale miseria cui lo stesso li ha lasciati facendosi pagare una protezione che non è in grado di garantire e che forse non ha mai avuto intenzione di assicurare.

 

 

Insomma, lo Stato italiano è assai peggio della mafia. Indipendenza!

 

Fonte: srs di GILBERTO ONETO

 

Dominio potere e violenza, Economia e lavoro, Monolandia, Società e politica

NON È IL CITTADINO CHE DEVE ESSERE TRASPARENTE VERSO LO STATO, MA VICEVERSA.

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«Non è il cittadino che deve essere trasparente verso lo Stato, ma viceversa.

Non è l’individuo – legittimo proprietario dei quattrini che ha in tasca – che deve dimostrare come guadagna i suoi soldi,

ma è lo Stato che deve dimostrale come spende quelli che vi sottrae, in maniera coercitiva, con la tassazione…

La millantata società della «trasparenza globale» è a senso unico ed è architettata per tenervi in pugno».

 

Leonardo Facco, da Elogio  del  contante, 2015

Dominio potere e violenza, Società e politica internazionale

TRAFFICO DI ORGANI UMANI NEI BALCANI

sala operatoria

 

Mattatoio – Come venivano asportati gli organi in Kosovo?

 

Dopo la fine dell’intervento NATO in Jugoslavia, in Kosovo scomparirono senza lasciare traccia circa 1000 persone, stando a dati di diverse fonti.

 

Probabilmente alcuni di loro nella vicina Albania furono privati degli organi che poi venivano spediti via aerea verso destinazioni sconosciute. Cosa sappiamo davvero del “traffico di organi” in questa area dell’Europa?

 

Il 19 luglio Ramush Haradinaj, capo di governo del Kosovo autoproclamato ed ex comandante dell’organizzazione terroristica (secondo Belgrado) dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK), si è dimesso perché chiamato a rispondere dinanzi al Tribunale speciale che giudica i crimini commessi dall’UÇK. Il 24 luglio è stato interrogato come imputato all’Aia, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. In seguito ha dichiarato che la legge gli vieta di rispondere alle domande che gli sono state poste.

 

Il fratello di Ramush, Daut Haradinaj, che ha un passato militare simile, stando a Milaim Zeka, segretario del Partito Euratlantico del Kosovo, avrebbe anch’egli ricevuto la notifica, ma non ha ritenuto opportuno parlarne pubblicamente. Tali voci sono state diffuse il 15 agosto.

 

Il dossier dell’Aia sull’ex premier kosovaro

 

Daut Haradinaj ad oggi non si è ancora presentato di fronte alle istituzioni giuridiche internazionali, mentre il caso del suo fratello maggiore Ramush è stato esaminato ben due volte dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIJ), nel 2005 e nel 2008, e Ramush venne assolto entrambe le volte.

 

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Dominio potere e violenza, Società e politica internazionale

GLI USA NON SONO UNA DEMOCRAZIA, NON LO SONO MAI STATI

campidoglio

 

Gabriel Rockhill (*)

 

Una delle convinzioni più salde a proposito degli Stati Uniti è che si tratti di una democrazia. Ogni qualvolta questa affermazione viene timidamente posta in dubbio, è quasi solo per segnalare una qualche dannosa eccezione ai valori fondamentali o ai principi costitutivi statunitensi. Ad esempio, gli aspiranti critici lamentano frequentemente una « riduzione della democrazia » dovuta all’elezione di autocrati  clowneschi, a misure draconiane adottate dallo Stato, alla scoperta di malversazioni o corruzioni, a interventi sanguinari all’estero o ad altre attività considerate eccezioni antidemocratiche. Lo stesso vale per coloro la cui critica consiste sempre nel contrapporre le azioni concrete del governo degli Stati Uniti ai suoi principi costitutivi, evidenziando una contraddizione tra le stesse e manifestando l’auspicio che possa comporsi.

 

Il problema, però, è che non vi è alcuna contraddizione o riduzione di democrazia, perché semplicemente gli Stati Uniti non sono mai stati una democrazia. E’ una realtà difficile da affrontare per molte persone, probabilmente più inclini a respingere tale affermazione come assurda piuttosto che prendersi il tempo di esaminare i dati storici e decidere a ragion veduta. Una reazione così sprezzante è dovuta in gran parte a quella che è stata forse la campagna di pubbliche relazioni di maggior successo della storia moderna. Quello che al contrario risulta evidente, quando la questione viene esaminata in modo sobrio e metodico, è che un paese fondato sull’élite, una dominazione coloniale basata sul potere della ricchezza – insomma una oligarchia coloniale plutocratica – è riuscita non solo a fregiarsi dell’etichetta « democratica » per vendersi alle masse, ma anche a far sì che i suoi cittadini, e molti altri, tanto socialmente e psicologicamente compresi nel loro mito nazionalista di origine, non siano disposti ad ascoltare argomenti lucidi e ben documentati.

 

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Cultura Verona, Economia e lavoro Verona, Informazione e giornalismo, Società e politica Verona

IL 12 OTTOBRE 1866 USCIVA IL PRIMO NUMERO DE L’ARENA DI VERONA

Tipografi-Arena

Tipografia Arena

 

Verona 11 ottobre 2016, Il giornale L’Arena di Verona compie 150 anni

 

Il 12 ottobre 1866 a Verona esce il primo numero del quotidiano L’Arena, «il più antico d’Italia»; quando le notizie arrivavano in redazione sulle ali dei piccioni e i direttori si sfidavano a duello; la collaborazione di Emilio Salgari, il manifesto del Futurismo; l’Arena fascista, Bisaglia e gli anni del boom; giornali, radio, televisioni del gruppo Athesis; Bertani, Galtarossa, Fedrigoni, Armellini, Grigolini, Ferro, Rana, Pedrollo, Veronesi; chi comanda oggi e il tempo della crisi.

 

Quando esce il primo numero del giornale L’Arena è il 12 ottobre 1866, una data importante per Verona perché segna, al termine della Terza guerra di Indipendenza, l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Gli austriaci stanno per abbandonare la città e il giorno 16 dello stesso mese i bersaglieri arrivano da Viale Venezia e passano porta Vescovo acclamati dalla folla. Editori di quel quartino, che a Verona e provincia costa 7 lire e 12 all’estero, sono Gaetano Franchini Carlo Vicentini, direttore è Alessandro Pandian, condirettore Giusto Ponticaccia, mentre nella sede di via Monte 303, oggi via Sant’Egidio, lavorano due giornalisti.

 

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