Alimentazione e gastronomia, Cultura Verona, Natura e scienza

C’ERA UNA VOLTA IL TARASACCO  DETTO ANCHE PISSACANI O BRUSAOCI  

Prati+gialli

Prati gialli Campo di Crepis sancta o Radicchiella simile al Tarassaco ma meno buona in cucina

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«Ora l’intruso arriva dalla Terrasanta»

Nell’Est veronese la Crepis Sancta, o Radicchiella, sta prendendo il sopravvento. Resiste meglio a stagioni di siccità e piogge altalenanti

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«Pissacani» in via di estinzione nelle campagne dell’Est veronese. Altro segnale del territorio che cambia, a malincuore per chi era solito cibarsi dei fiori o delle foglie di questa verdura spontanea. Cartina di tornasole sono i colori della primavera: il verde della natura che si risveglia, il bianco dei petali dei ciliegi. Alla tavolozza si aggiungeva il giallo delle infiorescenze di tarassaco, il «pissacan» appunto, a tingere prati o filari tra una vigna e l’altra. Ora non più.

«Negli ultimi 15-20 anni è apparso un nuovo fiorellino sempre giallo, il Crepis sancta o radicchiella di Terrasanta, la cui presenza sta soppiantando quella del pissacan», segnala il naturalista Silvio Scandolara che descrive questo «intruso» che presenta talvolta capolini doppi e rosetta basale di foglie molto più piccole, meno saporite e di scarso uso in cucina.

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IL PRIMO CRISTIANO DI VERONA ERA UN BIMBO DI 3 ANNI

 

epigrafe a San Procolo per Victor(i)nianus. VR.

L’epigrafe a San Procolo per Victor(i)nianus, morto a due anni e 11 mesi dopo essere stato battezzato (BATCH)

 

Si chiamava Victorinianus, è vissuto alla fine del IV secolo dopo Cristo ed è morto in tenerissima età (per un motivo che si è perso nella notte dei tempi), a nemmeno tre anni: è lui il più antico cristiano veronese di cui abbiamo testimonianza. Il primato, appunto quello di iscrizione paleocristiana più antica di Verona, appartiene a un’epigrafe ritrovata lungo le scale che conducono alla cripta dell’antica chiesa romanica di San Procolo, a poche decine di metri da San Zeno.

 

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Cultura Verona, Pensieri e parole, Persone e personaggi, Società e politica Verona, Veneto

L’ULTIMA POESIA DI ROBERTO PULIERO IN OSPEDALE… “GRASSIE A CHI M’HA CURÀ” .

pugliero roberto

Pugliero Roberto

 

Il giorno 19 novembre , a 73 anni, si è spento Roberto Puliero, grande regista, attore e radiocronista storico dell’Hellas Verona.

Ricoverato a Borgo Trento, nelle ultime settimane ha scritto una poesia dedicata a dottori e infermieri che l’hanno curato.

 

GRASSIE A CHI M’HA CURÀ

Quando un giorno uno el se cata

ricoverado a l’ospedal,

più che ben, se po’ anca dir

che, struca struca… te stè mal

Ma, za dopo un par de giorni,

te te senti consolà,

e da una serie de attensioni

circondado e confortà!

Gh’è un bel sciapo de infermiere

che come ti te le ciami,

le se parcipita a iutàrte

come un supìo de tsunami!

Le te alsa, le te sbalsa,

le te senta, le te sbassa,

le te palpa, le te tasta,

le te dindola e strapassa

Fin da mattina imboressàde

la Federica o la Veronica

un’iniesson de bonumor

che la par la bomba ’tomica!

E le prova ad una ad una

sigalando un fià a la bona…

… che sia pronte par la sera

le cansone del Verona,

e le sistema le bandiere!,

parchè riva fin lassù

la gioiosità festosa

dei colori gialloblù!

… po’ gh’è Andrea, che te lo senti

quando riva el so vocion

che’l par proprio vegnù fora

da un Sior Todaro brontolòn

E Francesco che po’ se casco,

so a la fin contento istesso…

sono sicuro: co un colpetto

el me tira su dal cesso!

E gh’è la Elena col boresso

sempre annesso e incorporado

con la Kety a far da spalla

a quel “duo“ un fià scombinado

Fin che intanto la Michela,

coi so oceti birichini,

la te fa solo pensar

a pastissi e tortellini…

… e po’ gh’è la Paola capobanda:

per governar quelo che gh’è,

ela ghe basta un bel sorriso,

’na parola, anca un giossetin de te…

Du anni fa, forsi impisocado

e de sonno ancora storno,

m’era fin scapà da dir

“quasi quasi qua ghe torno!“

Ben, scusè, m’ero sbalià!…

Voi tornar ma no malà…

voi tornar pa ringrassiar

chi ogni giorno m’ha curà

con affetto e co umiltà

impinando el so lavoro

de amicissia e umanità

R.P.

 

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IL 12 OTTOBRE 1866 USCIVA IL PRIMO NUMERO DE L’ARENA DI VERONA

Tipografi-Arena

Tipografia Arena

 

Verona 11 ottobre 2016, Il giornale L’Arena di Verona compie 150 anni

 

Il 12 ottobre 1866 a Verona esce il primo numero del quotidiano L’Arena, «il più antico d’Italia»; quando le notizie arrivavano in redazione sulle ali dei piccioni e i direttori si sfidavano a duello; la collaborazione di Emilio Salgari, il manifesto del Futurismo; l’Arena fascista, Bisaglia e gli anni del boom; giornali, radio, televisioni del gruppo Athesis; Bertani, Galtarossa, Fedrigoni, Armellini, Grigolini, Ferro, Rana, Pedrollo, Veronesi; chi comanda oggi e il tempo della crisi.

 

Quando esce il primo numero del giornale L’Arena è il 12 ottobre 1866, una data importante per Verona perché segna, al termine della Terza guerra di Indipendenza, l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Gli austriaci stanno per abbandonare la città e il giorno 16 dello stesso mese i bersaglieri arrivano da Viale Venezia e passano porta Vescovo acclamati dalla folla. Editori di quel quartino, che a Verona e provincia costa 7 lire e 12 all’estero, sono Gaetano Franchini Carlo Vicentini, direttore è Alessandro Pandian, condirettore Giusto Ponticaccia, mentre nella sede di via Monte 303, oggi via Sant’Egidio, lavorano due giornalisti.

 

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QUELLE VETRINE CHE HANNO SEGNATO UN’EPOCA.

LA VERONA CHE NON C´È PIÙ. La storia commerciale di via Mazzini scandita dai negozi storici che ne hanno animato la vita e dettato la moda in città dai primi del ´900.

 

libreria ghelfi barbato

 

L´annunciata chiusura della libreria Ghelfi&Barbato è l´epilogo di una lenta agonia iniziata alla fine degli anni Ottanta.

 

La chiusura della libreria Ghelfi&Barbato è l´ultimo capitolo non solo della storia commerciale di Verona, attraverso la sua più importante strada del passeggio e delle vetrine, ma anche il triste epilogo di un´epoca. Quella della ricca borghesia cittadina che vestiva elegante, ma anche quella della città popolare che guardava le vetrine con gli ultimi arrivi e affidava all´estro e alle mani delle giovani donne, casalinghe e sartine in casa, con lo scampolo di stoffa a poche lire, la possibilità di un abito alla moda. Via Mazzini, la via principale di Verona, che i veronesi amavano chiamare con il vecchio toponimo di via Nuova.
CON LA CHIUSURA della libreria Ghelfi&Barbato, che, unico negozio di via Mazzini, ha mantenuto anche lo splendido rivestimento metallico, si volta pagina su un pezzo di storia. La libreria è citata in una guida di Verona del 1868 (libraio Munster, via Nuova alla Scala ed, un ventennio dopo, Remigio Cabianca), e poi in tutte le guide di fine Ottocento, in uno stabile che, in epoca asburgica, ospitava le stalle.
La raffinata struttura in ferro venne eseguita dalla Premiata officina Marcello Carrara di via Torretta San Zeno: manca la data, ma è del secondo ottocento, in quanto Marcello Carrara è presente nell´elenco delle officine veronesi proprio in quel periodo.
Nei primi decenni del novecento, i Barbato da Pontremoli, la patria delle bancarelle di libri, sono approdati a Verona: prima vendevano i libri in bancarelle poste al centro della strada, poi hanno rilevato la storica libreria. L´addio di Ghelfi&Barbato, in via Mazzini, segue di solo un anno la chiusura della sede storica della Bnl, la Banca nazionale del Lavoro, che ha lasciato il posto ai grandi magazzini Zara. Di negozi storici, sopravvive la Farmacia Due Campane, che la tradizione fa risalire addirittura al 1753 dallo speziale Giuseppe Faccioli in contrada Santi Apostoli, poi  trasferita in via Nuova dallo speziale Gaetano Lonardi nel 1789. E nell´alta via Mazzini, al numero 67, verso piazza Bra, dagli anni Venti, c´è la gioielleria Maria Passeroni.

 

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Cultura Verona, Economia e lavoro Verona

CON LA MORTE NEL CUORE CHIUDE LA STORICA LIBRERIA DI VERONA GHELFI E BARBATO

ghelfi barbato svendita

Ghelfi e Barbato, cartello chiusura

 

Un pezzo di storia e di cultura veronese che se ne va: è questa la sintesi dell’annunciata chiusura della libreria “Ghelfi e Barbato” in centro storico. Dalla serata di venerdì campeggia sulle vetrine del negozio un cartello con caratteri cubitali: «Svendita totale per chiusura». Tanta la concorrenza, enormi le difficoltà da sostenere per le librerie indipendenti nei confronti delle grandi catene e dell’e-commerce.

«Ebbene sì. “Grosso Ghelfi e Barbato” chiude. Con la morte nel cuore ma affrontando la realtà con serenità e la consapevolezza che abbiamo fatto il possibile. Sono grato per quanto ho avuto da questo straordinario mestiere e per le persone eccezionali che ho incontrato e mi hanno arricchito professionalmente e personalmente», questo il saluto affidato ai social dal titolare. Un’istituzione fatta di libri per la città di Verona, la “Ghelfi Barbato” nata ben 92 anni fa, quando al tempo di nome faceva “Libreria Grosso”. Nel 2012 ci fu un primo “segno dei tempi” (non molto lieti ammettiamolo), quando il negozio dovette trasferirsi da via Mazzini, la via dello shopping, per trovare una nuova sede, più conveniente, pochi passi più in là in Piazzetta Scala al civico 3.

 

ghelfi barbato negozio via mazzini

La vecchia sede della “Ghelfi e Barbato” in via Mazzini

 

Per diversi anni da quel 2012, nella vecchia sede della “Ghelfi e Barbato” in via Mazzini sono così rimaste le antiche insegne, a far da complemento a foto di bellissime ragazze in bikini, collant, mutandine e reggiseni: alla libreria era infatti subentrato un negozio “Goldenpoint”. L’effetto visivo dal sapore involontariamente surrealista, aveva se non altro il pregio di ricordare a tutti la presenza della storica libreria nella nuova sede dislocata pochi metri più in là. Oggi, dopo il nuovo annuncio di quella che pare essere una chiusura definitiva della “Ghelfi e Barbato”, agli immalinconiti lettori rimasti orfani del loro tempio, non resterà che introdursi in quell’antica sede e, con sguardo trasognato da pellegrino in preda ad un inesorabile lapsus d’azione, rivolgersi con candore ai dipendenti del “Goldenpoint” chiedendo sommessamente se, per caso, è possibile acquistare una vecchia ristampa de “La coscienza di Zeno”.

 

ghelfi barbato chiusura

Chiusura “Ghelfi e Barbato” ottobre 2019“

 

Fonte: da Verona sera del 6 ottobre 2018

Link: http://www.veronasera.it/cronaca/ghelfi-barbato-chiusura-libreria-verona-6-ottobre-2019.html?fbclid=IwAR0mRUMedNblZX01QbGhsHLFdo3j_rhFH7Z7t8npa3ANMASFlkn_B1Vw2qk

 

Cultura varia, Cultura Verona, Persone e personaggi

SI SENTE MALE MENTRE GUIDA ADDIO A GIOVANNI RAPELLI

 

Giovanni Rapelli

Giovanni Rapelli

 

Verona e la cultura italiana hanno perso una figura che resterà pietra miliare nello studio della linguistica e della toponomastica. Giovanni Rapelli, 81 anni ancora ben portati con vivacità di spirito e di mente, è morto l’altra sera nei pressi di San Rocco di Piegara, di ritorno da un incontro organizzato dal Curatorium Cimbricum Veronese di cui era stato tra i fondatori nel 1974.  Alla guida della sua auto sulla quale viaggiava l’amico fraterno Carlo Caporal, si è sentito male improvvisamente: la morte è sopraggiunta immediatamente dopo che ha avuto la forza e l’accortezza di accostare l’auto al ciglio della strada.

Marta Tezza, che seguiva l’auto provenendo dalla stessa riunione, ha prestato il primo soccorso ma è stato tutto inutile e anche il medico del 118 ha tentato a lungo le manovre di rianimazione senza successo. I funerali si svolgeranno lunedì alle 16 nella chiesa di San Marco Evangelista, in via Girolamo Dalla Corte 24, in Borgo Venezia, dove Rapelli abitava con la moglie Maria Antonietta.

 

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Cultura Verona, Lessinia, Salute e benessere

“GUARITORI E JUSTA O TIRA OSSI” NELLA LESSINIA DEL PASSATO –

guaritori della lessinia

 

 

Le malattie hanno sempre rappresentato per l’uomo un fatto di estrema crisi e soprattutto riproposto problematiche di ordine sociale, individuale, filosofico e religioso. Le malattie mutano, anche profondamente, la quotidianità della vita, il modo di viverla e di rapportarci con gli altri e divengono fonte di insicurezza e pongono spesso l’individuo che ne è colpito nell’afflizione della disperata ricerca della cura e in una diversa ottica di percepire il significato delle cose.

 

Al giorno d’oggi, sebbene molti mali che affliggono l’umanità sono ancora incurabili, i progressi della medicina e della chirurgia sono stati enormi e le probabilità “de salvarse la menega” sono ben più elevate rispetto al passato, ove si dovevano non solo fare i conti con una medicina e pratiche mediche ben più rudimentali e grossolane, ma soprattutto con una povertà dilagante che permetteva solo a pochi di potersi curare. Si ricorreva quindi a metodi tradizionali e naturali, soprattutto quelli fitoterapici, a salassi, polverine, “tira o jùsta ossi”, “praticoni” e guaritori con la speranza della salute.

 

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Cultura Verona, Lessinia

LE MANIFESTAZIONI DEMONIACHE DELLA CASA DEL BRIGANTE “TOMASIN” DELLA CONTRADA COMERLATI DI VELO VERONESE E LO SBRIGATIVO METODO DI “TITA MARTAREL” PER LIBERARLA DAGLI SPIRITI –

I RACCONTI NEI FILO’ DELLA LESSINIA DEL PASSATO.

 

 

comerlati contrada

Contrada Comerlati,   casa del brigante  Tomasin

 

Nella cultura e nella tradizione popolare di molti paesi una casa stregata (o casa infestata) è un’abitazione che è ritenuta coinvolta in presunti eventi soprannaturali o fenomeni paranormali. Tradizionalmente una casa stregata può essere infestata da fantasmi, da poltergeist o entità malevole come demoni.

 

Si ritiene che le case stregate siano spesso abitate da spiriti di trapassati che si presume fossero i precedenti abitanti o avessero una qualche familiarità con quella data abitazione. La presunta attività soprannaturale all’interno di queste case viene associata principalmente ad eventi violenti o tragici che sarebbero avvenuti al loro interno, come omicidi, morti accidentali o suicidi, nel passato recente o remoto. Talvolta si ritiene però che in quel luogo vi siano manifestazioni demoniache derivanti ad esempio dall’aver “venduto l’anima al Diavolo”.

 

In molte culture e religioni si ritiene che l’essenza di un essere umano, cioè la sua l’anima continui ad esistere anche dopo la morte; taluni sostengono la credenza che gli spiriti dei defunti che non sono passati nell’aldilà, in alcuni casi particolari possano rimanere intrappolati all’interno delle abitazioni in cui i loro ricordi e la loro energia sono forti. Queste entità infesterebbero le abitazioni, manifestando ai vivi la loro presenza con rumori, con apparizioni, oppure con spostamenti o lanci di oggetti fisici, quali pietre o altro. Queste manifestazioni paranormali vengono presentate talvolta come “attività di poltergeist”, cioè di “spiriti rumorosi” o come tradizionalmente vengono definiti nella cultura popolare lessinica i “rensaòrio regninsàori”.

 

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“EL PIGNATON COI SCHEI DE ORO” (IL PENTOLONE CON LE MONETE D’ORO)

monete oro

Monete d’oro 

 

I RACCONTI DEI FILO’ NELLA LESSINIA DEL PASSATO –

 

Nel mondo contadino montanaro del passato la vita era estremamente dura e difficile e anche i nostri montanari lessinici dovevano “tribolare” non poco per riuscire a mantenere le proprie famiglie. La situazione economica della maggior parte dei contadini lessinici del passato era infatti spesso piuttosto misera e le loro attività lavorative, spesso poco remunerate, occupavano gran parte della giornata. Tuttavia quando non devono lavorare all’esterno, quando il tempo non lo consentiva o si era in piena stagione invernale ed il mondo circostante era avvolto da una spessa coltre di neve gli abitanti delle nostre contrade a sera più in stalla che in casa, perché la prima non doveva essere riscaldata col fuoco, si radunavano nelle stalle riscaldate dal calore animale. Nella stalla dunque si svolgeva non solo l’attività lavorativa di accudire il bestiame, ma si praticavano anche varie attività artigianali e domestiche ma si svolgeva soprattutto un evento sociale che veniva denominato “il filò”.

 

Il filò, il cui termine sarebbe fatto derivare dall’attività della filatura della lana che le donne erano solite praticare nel corso di tali occasioni di raduno, costituiva un momento socialmente coinvolgente e culturalmente stimolante; vi confluiscono tutti gli abitanti di una contrada e di quelle vicine. Iniziava solitamente verso le 20 con la recita del Rosario, ma nei giorni lavorativi non si rimaneva inoperosi. Le donne filano la lana, cucivano e rammendavano gli indumenti domestici, sferruzzano; gli uomini invece realizzavano ceste o gerle in paglia o vimini, impagliano le sedie, “scartossano la polenta” (levavano il cartoccio alle pannocchie del mais), costruivano o riparavano attrezzi, ecc. Non si rimaneva mai con le mani in mano e completamente inoperosi, poiché in un mondo dove il mantenimento dipendeva esclusivamente dal proprio lavoro l’inoperosità significava non produrre e quindi non mangiare.

Per meglio inquadrare la situazione dell’epoca calza perfettamente a questo punto la citazione del vecchio adagio lessinico che recita: “coà ghe casa lasagna, ci no laora no màgna!”. Ma al filò gli uomini parlavano anche d’affari, di prezzi, di notizie; i più anziani, dotati di maggiore esperienze di vita e di ricordi, raccontavano ai piccoli le storie di “fade”, di orchi, di “anguàne”, di basilischi e di altre creature fantastiche e di fatti avvenuti in passato sui nostri monti. Continua a leggere ““EL PIGNATON COI SCHEI DE ORO” (IL PENTOLONE CON LE MONETE D’ORO)”