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LE  MAROGNARE, I MURI A SECCO DEL PASSATO SUI NOSTRI MONTI 

LE MAROGNARE, I MURI A SECCO DEL PASSATO

El marognìn

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I muri a secco che ridisegnano a gradini i pendii delle nostre montagne veronesi vengono propriamente denominati nel dialetto veronese con il termine di “marognàre”, un termine che nella lingua italiana designa propriamente un informe mucchio di pietre. 

Le “marognàre” sono invece il frutto di una secolare tecnica costruttiva. 

La “marogna”, da cui “marognàra” e lo stesso cognome Marogna, veniva realizzata in passato con l’antica tecnica del muro a secco, venivano impiegati cioè solo dei sassi, di diversa grandezza, senza alcun tipo di legante. 

Le pietre venivano riposte manualmente nel “dèrlo” (gerla) e trasportate a schiena o sulle “barèle” (carriole di montagna prive di ruota) e venivano raccolte un tempo anche per liberare il terreno e renderlo coltivabile. 

Innanzitutto si provvedeva a liberare le fondamenta del muro dal terriccio, per trovare una solida base di roccia, poi si iniziava la costruzione disponendo al suolo i massi più grossi, partendo con una larghezza anche di un metro e mezzo. 

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Geografia e ambiente, Storia moderna e revisionismo

QUANDO, NEL 1941, DA “STUDI BOTANICI” CHE SULLE ALPI “NON AVEVA MAI FATTO TANTO FREDDO COME ADESSO”

Vue de la Testa Grigia

Vue de la Testa Grigia

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Quando, nel 1941, emerse dall’unione migliaia di “studi botanici” che sulle Alpi “non aveva mai fatto tanto freddo come adesso”, nessuno in ambiente “universitario” si strappò le vesti, perché “il concetto” era già stato ampiamente sdoganato nel 1919 dall’ingegnere francese Paul Mougin, autore di una faraonica ricerca sui ghiacciai del Monte Bianco.

Alla “presentazione ufficiale” dei risultati, l’ingegnere rispose alla domanda di un giornalettaio “ma perché non esiste alcuna informazione sui ghiacciai del Monte Bianco precedente la fine del ‘500?”, con un laconico “perché non esistevano”.

Quindi, 22 anni dopo, l’argomento era già chiuso.

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Quando, un’altra ventina di anni dopo, la “grande ricerca botanica” scoprì piante di uva da vino “con ancora le radici a terra” nei pressi di Zmutt e Findelen, a quote superiori i 2200 metri “sopra Zermatt”, Svizzera, nessuno si strappò le vesti alla notizia (“radiodatata”) che “fiorirono rigogliose fino al periodo rinascimentale”, nessuno imbrattò un Van Gogh alla notizia che gli stessi due “tipi di vite” oggigiorno maturano solo fino a 1500-1700 “più giù”/più a valle.

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Quando una decina di anni dopo, nel costruire un pilone della funivia del Piccolo Cervino, gli operai trovarono “humus di bosco” a quota 3000m in zona Trockener Steg, ancora Zermatt, nessuno organizzò dei “venerdì per il futuro”, poiché “i boschi a 3000 metri” erano già compresi nelle conoscenze delle antiche torbiere dei primi 9mila anni post-glaciali e nei ritrovamenti in Valle d’Aosta, Vallese ed Oberland bernese.

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Quando, nel 2011, gli stessi operai degli stessi impianti trovarono a quota 3500, in mezzo ai ghiacciai dello sci estivo migliore d’Europa, alcune suppellettili, compreso un falcetto da fieno, quasi tutte radiodatate in periodo romanico, nessuno iniziò a mangiare grilli e locuste per salvare il pianeta, perché le cronache di Zermatt lo dicevano da sempre che i loro pascoli e quelli di Valtournenche “un tempo si univano sulle creste”.

Tutto questo lo si sapeva da sempre in ambienti “universitari e di ricerca”, quindi nessuno “si sconvolse” più di tanto.

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 IN BOCCA AL LUPO! … MA I LUPI NON C’ENTRANO PER NULLA. LE NAVI DI VENEZIA, SÌ…

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Bocca di lupo (foto Paolobon140, CC)

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Quando un amico affronta un esame, una prova difficile, una partita decisiva, l’augurio più frequente è “In bocca al lupo“. Al quale una volta si rispondeva “Crepi” mentre adesso l’ignobile dittatura del politicamente ed ecologicamente corretto impone di rispondere “Viva il lupo”.

Bocca di lupo

Pochi sanno, però, che nell’augurio “in bocca al lupo“, i lupi non c’entrano per nulla, neppure di striscio. C’entrano invece, Venezia, la Serenissima, e le sue navi.

“In bocca al lupo”: augurio, non avvertimento

Dall’Accademia della Crusca alla Treccani, molti dizionari e molti repertori di “modi dire” si sono interessati all’augurio “in bocca al lupo“. E tutti riportano a profusione detti, in uso in mezzo mondo, che citano il lupo e l’ancestrale paura del predatore. Ma sono tutti modi dire in negativo: “andare in bocca al lupo”, “cascare in bocca al lupo”, “guarda che finisci in bocca al lupo” sono avvertimenti, non auguri. Invitano a fuggire un pericolo, non certo ad andarci incontro.

Perché “in bocca al lupo” è indubitabilmente un augurio. E non è, ovviamente, l’augurio di venir mangiato dai lupi. E’ un augurio marinaresco: non c’entra con i lupi, non c’entra con la montagna e le foreste, ma con il mare. Con un mare, in particolare: e cioè l’Adriatico. E con lo Stato che per secoli e secoli ha dominato questo mare, imponendo ai traffici commerciali norme, burocrazie e regole ferree. E questo stato fu la Serenissima.

Le norme della Serenissima

Venezia, lo sappiamo, ha dominato l’Adriatico. E ha legittimato questo potere affermando che, essendo Venezia nata sul mare, il mare era il suo territorio. Il mare, tutto: da Venezia in giù, su entrambe le sponde, fino alle bocche di Otranto. L’Adriatico tutto si chiamava allora Golfo di Venezia, e con questo nome è riportato nelle carte. E tutti i traffici che vi si svolgevano dovevano rispettare le norme imposte dalla Serenissima.

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Vincenzo Maria Coronelli, Golfo di Venezia olim Adriaticum mare (Golfo di Venezia, una volta detto Mare Adriatico)

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Dagli Asburgo ai Re d’Ungheria, dal Papa al Regno di Napoli, ci hanno provato in molti, per secoli,  a contestare il diritto che Venezia si arrogava, di dettar legge sull’intero Adriatico. Il Papa minacciò perfino scomuniche e interdetti, ai quali il grandissimo Paolo Sarpi s’incaricò di rispondere, affermando le ragioni di Venezia.

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COME SI LEGGEVA L’ORA NELLA SERENISSIMA DEL XVIII° SECOLO

orologio torre venezia

Orologio della Torre di Piazza San Marco

di Alessandro Marzo Magno

Noi oggi usiamo l’ora Francese: quadrante dell’orologio diviso in 12 ore e due lancette, una corta che indica le ore e una lunga per i minuti. Fino a metà Settecento andava per la maggiore l’ora Italiana: quadrante diviso in 24 ore (il 24 stava a destra, dove ora noi abbiamo le 3) e una sola lancetta.


Il sole tramontava alle 23 e mezzo e dopo mezz’ora scoccavano le 24 e il nuovo giorno, fino alle 24 successive. Il problema era che le ore variavano con il mutare della lunghezza delle giornate, così il mezzogiorno, ovvero la metà tra l’alba e il tramonto, corrispondeva più o meno alle diciannove in inverno e alle sedici in estate. Le due corrispondevano a due ore dopo il tramonto, cioè alle nostre sette di sera d’inverno e alle nostre dieci di sera d’estate (circa).

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Geografia e ambiente

GLI ALBERI LUNGO LE STRADE: UNA QUESTIONE STORICA E AMBIENTALE

 

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di Rossano PAZZAGLI.

 

L’aumento del traffico automobilistico, conseguenza anche del mancato potenziamento dei trasporti pubblici che anzi stanno subendo politiche di tagli e ridimensionamenti, sta riproponendo in misura crescente il problema della sicurezza stradale. Spesso sotto la spinta emotiva di gravi incidenti, dimenticando la responsabilità di errate strategie gestionali della mobilità, come quella delle numerose privatizzazioni e della progressiva introduzione dei pedaggi sulle strade a scorrimento veloce, sono le tradizionali alberature lungo le strade d’Italia a finire sotto accusa. Qualcuno arriva così a proporre l’abbattimento indiscriminato di interi filari di piante, ignorando le funzioni che questi hanno a lungo svolto e che almeno in parte potrebbero ancora svolgere. Lo stesso codice della strada, approvato nel 1992, prevede nei successivi regolamenti di attuazione il divieto della presenza di alberi entro una distanza minima di sei metri dal bordo stradale [1].

Si tratta di un tema molto ampio e ricco di significati, che inevitabilmente tocca diversi ambiti – dalla storia dell’architettura all’agronomia, dalle scienze forestali all’ingegneria – e che ci consegna non pochi interrogativi sul nostro modo di intendere il rapporto tra società, infrastrutture e paesaggio. La prospettiva storica può aiutare a porre correttamente il problema, al di fuori di scorciatoie o soluzioni irrazionali.

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VERONA. LE GALLERIE SOTTO LE TORRICELLE.. .LE MINIERE DI “TERRA GIALLA”

 

 

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Le miniere di “Terra gialla” delle Torricelle sono state tra le più importanti d’Europa. Sono cavità naturali riescavate in epoca romana per l’estrazione di ocre gialle e rosse, utilizzate come terre coloranti.

 

La rete di condotti si sviluppa su circa 2 kmq ed è estesa per oltre 20 km con gallerie lunghe centinaia di metri e larghe appena 50cm, comunicanti con l’esterno attraverso una serie di pozzi artificiali profondi 5-30 metri. Il pozzo artificiale più profondo (-72 m) è all’interno dei terreni del “Santuario Nostra Signora di Lourdes”.

 

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LE INONDAZIONI DEL PO, DALLA NOTTE DEI TEMPI.

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LE INONDAZIONI DEL «RE DEI FIUMI, ERIDANO»

 

Quando il treno veloce s’inoltra su qualche ponte sul Po, e lo sferragliare della locomotrice e delle carrozze sulle rotaie s’infrange contro la gabbia in ferro che imprigiona il convoglio, i bambini si alzano in piedi, gli uomini e le donne si voltano verso i finestrini oltre i quali è l’onda fulva che pare immobile, e tutti esclamano: il Po!
Le placide acque continuano la loro marcia metodica verso la foce senza curarsi degli uomini che sulle sponde del fiume si bagnano e si divertono nei mesi estivi, o tremano quando lo vedono ingrossarsi. I poeti lo hanno cantato, gli scrittori l’hanno esaltato, i pittori lo hanno ritratto sulle loro tavolozze e i fotografi l’hanno ripreso infinite volte. Il poeta latino Virgilio l’ha chiamato «il re dei fiumi, Eridano».
E il Po cammina da secoli nella strada che si è scavata nel centro di una delle più belle e più ricche vallate del mondo col suo carico di acque apportatrici di vita e di morte. Percorre i suoi seicentocinquanta chilometri di strada assorbendosi anche il carico di ventiquattro affluenti, occupando un bacino di settantacinquemila chilometri quadrati. La forza del leone è ridicola nei confronti della sua, la potenza dell’uomo non riesce ad imbrigliarlo. In poco più di venti secoli ha portato tanta terra alla foce da allungare il suo percorso di sessanta chilometri ed attualmente s’avanza nell’Adriatico di circa settanta metri all’anno.
Dicono che i fiumi non abbiano coscienza di quello che fanno, altrimenti nel giorno del Giudizio ci sarebbe un gran daffare per passare in rassegna tutto il bene e il male che il Po ha compiuto nel suo corso secolare. Ma se Dio gliela manda buona, questo nostro fiume non potrà certo evitare i rancori che le popolazioni da lui colpite sentono verso di lui per le sue frequenti inondazioni.

Cause dell’inondazione

Noi daremo un elenco di inondazioni del Po dall’anno 204 avanti Cristo fino ai giorni nostri. Naturalmente il gran carico di acque di questo grande fiume collettore spiega da solo il fenomeno troppo frequente delle alluvioni le quali, se in tempi remoti arrecavano danni limitati per lo spopolamento della valle padana e la minore intensità di coltivati, oggi presentano spaventosi consuntivi di disastri.
Un tempo il fiume era evidentemente più incassato nel suo letto e nei confronti del terreno circostante: prova ne sia la navigazione che nell’epoca romana era frequentissima anche a mezzo di grosse imbarcazioni. Per questo e per la maggiore estensione che aveva l’alveo del fiume, era più facile si contenesse la portata delle acque. Inoltre le zone golenali erano sterminate sicchè permettevano al fiume un maggior gioco di elasticità. In epoche più vicine a noi furono costruiti gli argini maestri che racchiudono, sì, le zone golenali, ma in misura strettamente necessaria ad un normale flusso di acque ; e questo per consentire una maggiore utilizzazione di territorio a coltivazione intensa. Secondo un documento storico dell’anno 924 sembrerebbe, ad esempio, che a quei tempi Sabbioneta fosse costruita sulle sponde del Po, mentre oggi sappiamo che ne dista sei chilometri. Prova, questa, del più vasto alveo che il Po aveva un tempo. D’altra parte è noto che alcune valli adiacenti al corso del fiume erano paludi padane.
Inoltre il disboscamento indiscriminato che è stato operato sulle nostre montagne negli ultimi secoli ha danneggiato immensamente le valli favorendo le inondazioni dei fiumi.

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PICCOLA ERA GLACIALE E CACCIA ALLE STREGHE

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Europa Centrale, mezzogiorno del 3 agosto 1562. Il cielo improvvisamente comincia a farsi scuro, sembra che la notte sia scesa con ore di anticipo. Poco dopo comincia a soffiare un vento sempre più forte che presto si trasforma in tempesta. Le finestre delle case vanno in frantumi, i tetti vengono spazzati via come se fossero di paglia, gli alberi cadono come piegati da una forza sovrannaturale. Ma il peggio deve ancora venire. L’’acqua torrenziale si trasforma in una grandinata di intensità mai vista.

Frutteti e vigneti sono distrutti quasi all’istante, così come il grano nei campi. La gente ha cercato riparo nelle chiese o dentro le mura domestiche ma gli animali sono rimasti privi di protezione. A mezzanotte, quando finirà l’inferno, si conteranno migliaia di capi di bestiame e cavalli uccisi dalla tempesta. Un nobile spostandosi da Vienna a Bruxelles ricorderà di avere visto devastazione ovunque durante il suo viaggio, lasciando intendere che questa perturbazione di proporzioni bibliche ha avuto un fronte di diverse centinaia di chilometri.

Perturbazione che ancora oggi non sappiamo come si sia formata, ma della quale i contemporanei credevano di sapere con certezza l’origine: la stregoneria.

 

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