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ACCCENDINO DI UN SOLDATO  USA 

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50 anni fa, il 29 marzo 1973, le truppe americane, dopo aver subito una sconfitta, evacuarono da Saigon.

La guerra del Vietnam è durata 11 anni e ha causato la morte di circa 2 milioni di civili, più di un milione di militari vietnamiti e circa 60.000 soldati americani.
Sul Vietnam furono sganciate 7 milioni di tonnellate di bombe e furono versati 80 milioni di litri di sostanze velenose.


Ma non volevo scrivere di questo.


Nella foto, un accendino di un soldato americano durante la guerra del Vietnam. 

L’iscrizione recita: Noi, i riluttanti, guidati dagli incompetenti per uccidere gli sfortunati, moriamo per gli ingrati”.


Queste parole trasmettono bene l’essenza di quella guerra attraverso gli occhi di un soldato. L’essenza di molte guerre.

Per ricordare che siamo alleati con i peggiori guerrafondai di tutti i tempi!

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LA TEORIA DELL’ORIGINE VIRALE DELLE MALATTIE

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Arthur M. Baker


In origine la parola “virus” significava veleno e il termine “virulento” voleva dire velenoso. Oggi intendiamo per virus una entità submicroscopica e “virulento”, in generale, significa contagioso.

La medicina moderna utilizza il termine “virus” per indicare una microscopica forma di vita capace di infettare le cellule e a cui viene pertanto attribuita la responsabilità di molte delle nostre malattie.

Nell’immaginario popolare, il virus è una forma di vita in grado di parassitare ogni altra forma di vita, inclusi gli animali, le piante e i saprofiti (funghi e batteri).
Nella descrizione delle infezioni virali, ai virus vengono attribuiti comportamenti quali “iniettarsi”, “incubare”, “essere in latenza”, “invadere”, avere uno “stadio attivo”, “impadronirsi”, “riattivarsi”, “mascherarsi”, “infettare”, “assediare” ed essere “devastanti” e “mortali”.

La teoria medica convenzionale sostiene che i virus nascono da cellule morte che essi stessi hanno infettato. Il virus “si inietta” nella cellula e le “ordina” di riprodurlo, fino al momento in cui la cellula esplode per lo sforzo. I virus sono a questo punto liberi di cercare altre cellule in cui ripetere il processo, infettando così l’intero organismo.

Tuttavia i virologi ammettono che i virus, pur avendo natura peculiarmente organica, non possiedono metabolismo, non possono essere replicati in laboratorio, non possiedono alcuna caratteristica degli esseri viventi e, in realtà, non sono mai stati osservati vivi!!
I “virus vivi” sono sempre morti …

Il termine “virus vivo” indica semplicemente quei virus creati dalla coltura di tessuti viventi in vitro (cioè in laboratorio), dai quali si possono ottenere trilioni di virus

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DURI I BANCHI

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In Veneto impari fin da piccolo che:
“Non ce la faccio” – non si può dire.
“Non ci riesco”- non esiste.
“Sono stanco”- non è mai abbastanza.
Cresci così, un po’ chiuso, un po’ con la convinzione di non essere mai all’altezza.
Ecco come li riconosci i veneti: testa bassa e a lavorare.
I veneti, quelli veri, sono polentoni.
Si…perche’ la polenta è ciò che li rappresenta.
Ruvida, dura e fredda fuori, con quella crosticina che si forma appena sfornata.
Tenera e avvolgente dentro, non ti delude mai.
I veneti sono proprio così: un po’ tonti, ruvidi e schivi;
Ma dentro sono buoni e dal cuore tenero.
Lo so, lo so, niente di speciale la polenta: acqua, sale e farina gialla;
Ma si sa, le cose semplici sono speciali perché rassicuranti, perché ci sono…
I veneti ci sono.
Sempre.
Ci puoi contare.
Piange il Veneto.
Senza far rumore, per non disturbare.
Giace a terra, fatta a pezzi da un nemico vigliacco subdolo, che non si fa vedere.
Gli occhi sono bassi, tristi e pieni di paura.
Ci sono solo ambulanze e silenzio.
Veneto tu non mollare proprio adesso.
Ricordi?
“Non ce la faccio”- non si può dire.
“Non riesco” – non esiste
“Sono stanco” – non è mai abbastanza.

DURI I BANCHI !

-tratto dal web –

Elena Zanon‎ a Made in VENETO

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I CESSI

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Se non ogni fameja, almanco un paro, in ogni corte, gavèva ‘na stalèta con ‘na vachèta e, Tutte: galine e coniji. I Mii, anca pai e ochi e i Tura, che i gavèva tanta tera, anca un musso par tirare i carèti de erba, fèn o legna. El Musso, comunque, era de uso promiscuo, bastàva domandarlo e Chichi lo imprestava.

 

Le galine le se rangiàva nel punàro, che ogni tanto, però, vegnèva netà dai schitì che parevano come un pavimento spussolente. I me mandava sempre mi nettare el punàro e me impienavo anca de piocci pulxini. Che spissa intanto, prima che me mama me lavasse col saòn col’l solfàro.

 

Tutte le altre bestie, vache in testa, bisognava curarle ogni giorno o comunque pì spesso delle galline e le pèttole dei cuniji e cavre e le boasse delle vacche, in qualche posto, bisognava pur portarle.

 

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IL VERO NOME DI GESÙ

Gesu Yeshùa

 

 

È probabilmente la persona più conosciuta al mondo. Parliamo di Gesù. Ma chi era davvero Gesù? Su di lui si pensa di sapere molto. Ma qual era la sua vera identità? Era un visionario?, un personaggio mitico non esistito veramente?, solo un uomo?, un profeta?, un rivoluzionario?, era Dio fattosi uomo?, era una potente creatura spirituale con una esistenza preumana?

 

La Bibbia ci dice chi fu veramente questo “Gesù”. C’è molto da scoprire, ma occorre mettere da parte le nozioni religiose date per certe e indagare invece le Sacre Scritture. Si faranno allora scoperte sorprendenti. Si scoprirà – tanto per cominciare – che “Gesù” non è il suo vero nome.

 

Il nome Gesù è la traslitterazione in italiano del nome greco Ỉησοῦς [Iesùs].

Il cosiddetto Nuovo Testamento fu scritto in greco (meglio sarebbe chiamare questa parte della Bibbia Scritture Greche). Il nome Iesùs è quindi la traduzione greca del suo vero nome ebraico, dato che egli era un ebreo. Sappiamo il suo nome ebraico? Sì.

 

Abbiamo, per così dire, un eccezionale dizionario biblico ebraico-greco. Si tratta della versione greca del cosiddetto Vecchio testamento (meglio sarebbe chiamarlo Scritture Ebraiche) chiamata Settanta (LXX). Questa traduzione delle Scritture Ebraiche fu iniziata nel terzo secolo prima della nostra èra da una settantina di dotti ebrei; fu terminata nel secondo secolo prima della nostra èra, forse verso il 150 a. E .V.. Le citazioni che le Scritture Greche fanno delle Scritture Ebraiche sono tratte proprio da questa versione della Settanta. Gli apostoli e i discepoli del primo secolo usarono questa versione della Bibbia.

 

Il nome greco Iesùs (Ỉησοῦς) si trova nella Settanta? Sì.

 

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Monade e satira, Senza categoria

FILOSOFIA DEL LECCACULO. COME DIVENTARE QUALCUNO SENZA ESSERE NESSUNO

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Impara ad essere fedele al padrone e traditore con gli altri, servile col titolare e prepotente con la povera gente.

Impara a scodinzolare quando lui ti offre una prebenda e a ruggire quando un sottoposto ti infastidisce

 

Cominci dalla scuola.

Il più forte ha sempre ragione, sia il professore o sia il bidello.

E quando loro parlano bisogna sempre annuire e abbozzare un sorriso di approvazione.

Non si sa mai.

Entrare nelle grazie di chi oggi o domani può darti qualcosa, è fondamentale.

 

Devi, però, essere disposto a tutto.

A convertire il torto in ragione, a tradire il compagno di banco e, naturalmente, a leccare il culo al professore.

Capisci che qualche voto non lo meritavi, ma è andata meglio di come speravi.

Scopri che quel modo di fare può essere utile sempre, nella vita, nel lavoro, nelle relazioni.

Impara ad essere fedele al padrone e traditore con gli altri, servile col titolare e prepotente con la povera gente.

Impara a scodinzolare quando lui ti offre una prebenda e a ruggire quando un sottoposto ti infastidisce.

 

Devi apprendere ad usare i sensi.

Sapere quando devi far finta di non vedere e di non sentire.

Devi aprire la bocca soltanto per usare la lingua al meglio delle sue funzioni.

Quando parli lo fai solo per osannare il capo.

Quando le cose si mettono male fatti scappare la pipì, corri nel cesso.

Meglio non mettersi in situazioni imbarazzanti, potresti sbagliare.

Imboscarsi  al momento giusto è vitale.

 

Quando è arrivato il tempo di trovare un lavoro cercati un culo politico, è il più redditizio.

Basta frequentare qualche riunione, farsi vedere, stringere la mano, mostrare la lingua mielosa e proporsi come servitore zerbino nella campagna elettorale.

Qualche mese di volantinaggio, attacchinaggio e lecchinaggio e il grosso è fatto.

Lui, accertato che la tua lingua produce sufficiente serotonina, ti darà un incarico, ti farà assumere in qualche ufficio, insomma ti sistemerà fino alla pensione.

 

Da quel momento in poi, se vuoi fare carriera, devi raffinare tutte le tecniche di adulazione e usarle con grande professionalità.

Devi essere sempre più servile e ipocrita.

Perché la posta diventa più alta.

Ci saranno i tuoi parenti da sistemare, i tuoi figli, i tuoi amici.

E quindi, a costo di consumare ciò che resta della tua lingua, devi andare fino in fondo.

 

Invecchierai.

I tuoi saranno tutti sistemati, ma il mondo, il mondo va a puttane.

Grazie anche a te e a quelli come te.

Grazie ai tuoi silenzi, alle tue omissioni, ai tuoi tradimenti, ai cazzi tuoi.

Ti guarderai allo specchio e sorriderai pensando che in fondo hai fatto il tuo dovere: hai sistemato la famiglia.

E se la tua città, la tua comunità, il tuo paese se la passano male, cazzi loro.

Tu che ci puoi fare?

Tu sei stato capace di cercare un bel culo per la tua lingua.

 

Gli altri hanno voluto fare i rivoluzionari, i critici, gli oppositori, i dimostranti, i solidali, gli intellettuali.

Hanno conservato intatta la loro dignità, la loro onestà, la loro libertà, ma in verità sono dei morti di fame.

 

E poi cosa hanno cambiato?

Nulla, nulla.

E sai perché?

Perché fin quando ci sei tu e quelli come te, l’unica cosa che si può cambiare è il culo da leccare.

michelefinizio@basilicata24.it

 

Fonte: da Basilicata  24.it del  7 ottobre 2017

Link: https://www.basilicata24.it/2017/10/filosofia-del-leccaculo-diventare-qualcuno-senza-nessuno-49343/?fbclid=IwAR3Fgyg9DlRP6aV-10rFvREzWBBuTxT87EO4eLcH-t56nn7a5rmEQsVqDfA

 

 

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PAOLO BERNARD. VERSIONE FINALE DI: NON POSSO PIU’ ESSERE GIORNALISTA. MOTIVI.

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Io ero giornalista quando potevo fare quello che vedete in foto. Era un altro universo, secolo, epoca, oggi scomparsi per me.

 

C’è un mio video che è circolato molto e in cui lascio una specie di “testamento“, indicato nel mio recente articolo sui metodi ‘fai-da-te’ di procurarsi eutanasia quando il morire ci riduce il fine-vita a un insulto alla dignità e ad un’agonia per nulla, mentre né medici né familiari sanno o possono aiutarci a spegnerci degnamente. Il video si conclude con un addio ai lettori, nel mio rammarico di non aver potuto fare di più come giornalista (si legga però l’ultimo paragrafo).

 

Per coloro che non si danno pace su come sia possibile che un Paolo Barnard getti la spugna del giornalismo, a prescindere da ciò che mi accade nella vita privata, è mio dovere ripetere, molto più in sintesi, ciò che già scrissi mesi fa. Eccovelo e un abbraccio a tutti.

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LE RAPIDE DEL TICINO

pombia-ticino Cartina-1850

Pombia-Ticino,  Cartina-1850

 

 

Questo Capitolo porta a stabilire come fosse il fiume Ticino in età etrusca, per costituire un indizio sostenibile alla tesi dell’identificazione del sito di Melpum con l’attuale Pombia.

 

La tesi poggia molto sul fatto che Melpum dovesse avere un porto fluviale per risalire le rapide, e dunque con questa parte dello studio, cerco di dimostrare che detto porto ci fu veramente, perché se il fiume non avesse avuto percorso e quote adeguate, molte delle mie ipotesi cadrebbero.

 

Per evitare di leggere un capitolo noioso, a chi non è interessato all’idraulica fluviale, concludo qui in anticipo che in età etrusca, la rapida del Ticino copriva un dislivello di 20 metri su 2 chilometri, quindi era ripidissima ed invalicabile con le imbarcazioni. Nell’ottocento invece, prima della costruzione delle attuali dighe, la rapida è divenuta alta 30 metri, ma sul percorso di 10 chilometri, per cui divenne meno ripida di quella antica e perciò si è potuta navigare (parzialmente).

 

Il comportamento del fiume

 

Per capire cosa determina lo scorrimento dell’acqua di un fiume, su un territorio composto da sabbia e ghiaia, come sono fatte le colline (morene glaciali) che chiudono a sud il Lago Maggiore, possiamo osservare come si comporta la battigia di una spiaggia al variare della forza delle onde marine.

 

Durante una grossa mareggiata, il mare asporta completamente la spiaggia mettendo a nudo le rocce e trascinando sul fondo tutti i detriti di sabbia e ghiaia. Nei mari aperti (fetch 1000 km) la velocità delle onde è circa metà della velocità del vento che le forma, pertanto con una buriana da 80 Km/h arrivano onde alla velocità di 40 Km/h. Si noti che la velocità di 36 Km/h equivale a 10 metri al secondo, e questo dato è da ricordare perché è una velocità critica di logoramento più volte citata in questo testo.

 

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L’ANALISI DEI DATI DI MELPUM

 

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Come già visto in precedenza, la prima operazione dell’indagine è di raccogliere tutti i dati disponibili per analizzare significati, motivazioni, tempi degli eventi, luoghi della Padania nord- occidentale, per individuare quale può essere l’ubicazione di Melpum.

 

Tito Livio scrive che le invasioni galliche cominciarono alla fine del VII sec.a.C. con l’arrivo dei Biturigesdi Bellovesus,e continuarono fino al IV sec.a.C.; però l’archeologia ha corretto che vi furono prima solo immigrazioni pacifiche con integrazione di Celti, e solo nel 4° secolo a.C. vi fu una invasione.

 

La grande ondata invasionistica che distrusse Melpumnel 396 a.C., e poi tutte le città etrusco-padane, fu quella delle tribù Galliche deiBiturgi, Edui, Arverni, Ambarri, Carnuti, Aulerci, Senoni, Cenomani, Boi, che fecero fuggire i precedenti Leponzinelle valli alpine dell’Ossola e Canton Ticino, spinsero gli Orobie Camunisui monti loro vicini, nonché cacciarono liguri, umbried etruschi, dalla sponda sud del Po’ all’Interno dell’Appennino. Solo gli Insubriseppero respingere i Galli, conservando il loro dominio sulle colline del Verbano, Ceresio e Lario. La grande massa di gente nuova cambiò il lessico padano, e l’archeologia ha classificato questa nuova Cultura come il tipo La Tène.

 

Quando giunsero i Romani nel 3° sec.a.C. trovarono Galli ovunque e diedero nome di Gallia Cisalpina a tutta la Padania, riservando i nomi dei predecessori ai loro monti (Alpi Leponzie, Retiche, Orobie, ecc.).

 

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