Cultura varia, Persone e personaggi, Veneto

SEMPLICEMENTE… GOFFREDO PARISE

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Questa la sua intervista del 7 febbraio 1982, parlando del suo amato Veneto al Corriere della Sera

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“Il Veneto è la mia Patria. Do alla parola Patria lo stesso significato che si dava durante la prima guerra mondiale all’Italia: ma l’Italia non è la mia Patria e sono profondamente convinto che la parola e il sentimento di Patria è rappresentato fisicamente dalla terra, dalla regione dove uno è nato. Sebbene esista una Repubblica Italiana questa espressione astratta non è la mia Patria e non lo è per nessuno degli italiani che sono invece veneti, toscani, liguri e via dicendo. L’Unità d’Italia non c’è mai stata nonostante la “Patria” del Risorgimento, della prima guerra mondiale, della seconda e della costituzione repubblicana in cui viviamo.

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SONO FEMMINILE NON FEMMINISTA

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Marina Miotto

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Mi ricordo anni ’90: la risposta di una giovane imprenditrice vicentina…che apostrofai come “femminista” per la sua capacità e determinazione nel gestire il personale in azienda: “Non mi offendere..io non sono una “femminista”…non sono una fallita…sono solo.. “femminile”… mi aggiunse poco dopo …”le femministe sono solo delle brutte copie dei difetti degli uomini.”

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IL VENETO PRIMA DELL’ARRIVO DEI LIBERATORI 

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IL VENETO prima dell’arrivo dei  “liberatori” italiani  ‘e un unico territorio che, quando viene annesso, ha il suo bravo bilancio in attivo: I VENETO…il cui bilancio, presentando un’entrata di circa 79 milioni di lire ed un’ uscita di circa 54, ci dava un avanzo di 25 milioni” 

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VENETO

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Tratto da Ruggiero Bonghi “Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868. Lettere di Ruggiero Bonghi al commendatore Giuseppe Saracco senatore del Regno” pag 103-Firenze 1868

citato in: 

Bozzini F.  “L’arciprete e il cavaliere” – pagina 183 – Roma 1985 

Beggiato E. – “La grande truffa” – pagina 59 

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N.B. Ruggiero Bonghi (Napoli 1826-1895) fu parlamentare dal 1860 al 1895 e  ministro dell’istruzione pubblica.

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RICETTA FAVE DEI MORTI VENEZIA DOLCI TIPICI VENETO

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Le Fave dei Morti sono un dolce tipico veneziano che affonda le proprie origini in un’antica tradizione: ha sostituito le fave arrostite che si mangiavano in passato in occasione della ricorrenza dei morti. Le autentiche fave dovevano essere confezionate con i soli pinoli perché le mandorle le rendevano più pesanti. Oggi, dato il costo dei pinoli, si preparano quasi esclusivamente con le mandorle.

Le Fave dei Morti veneziane si caratterizzano per essere di tre colori (marrone, pesca e panna). Ma perché questo dolce deve essere simile alle fave? Le fave erano considerate da Plinio un “incantesimo protettore”, il simbolo dei morti e della loro prosperità.

La tradizione di mangiare questo legume durante la “Festa dei morti” pare abbia origini molto antiche e, alcune fonti, le fanno risalire ad un’usanza da cui deriverebbe anche il nome “Calle della fava” a Venezia. Già nel VII – VI sec. a.C. nell’area del Mediterraneo le fave erano legate al mondo dei morti in quanto il fiore di questo legume è bianco ma macchiato al centro di nero (simbolo di morte). Inoltre, se le fave secche vengono lasciate nell’acqua, esse la tingono di colore rosso e ricordano quindi il sangue.

Anche con l’avvento del Cristianesimo, il legame tra le fave e i morti non venne scordato tanto che, fino ai tempi più recenti, era usanza mettere sul davanzale e sugli angoli delle strade ciotole colme di fave. Oggi la fava naturale è stata sostituita con le deliziose Fave dei Morti!

Qui proponiamo la ricetta considerata l’originale.

INGREDIENTI


• 400 g di pinoli
• 400 g di zucchero
• 6 albumi d’uovo
• vaniglia
• 2 bicchierini di liquore (rosolio bianco e alchermes)
• cioccolato grattugiato.

PREPARAZIONE


Tritare i pinoli e impastarli con lo zucchero, la vaniglia e gli albumi d’uovo sbattuti a neve soda. Dividere l’impasto in tre parti, per preparare le fave di tre colori: bianche con l’aggiunta del rosolio, rosa con l’alchermes, marrone mescolando il cioccolato grattugiato. Formare delle palline della grossezza di una noce, e disporle su carta oleata in una teglia. Farle cuocere nel forno tiepido per il tempo necessario.

Fonte: internet  varie

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 IN BOCCA AL LUPO! … MA I LUPI NON C’ENTRANO PER NULLA. LE NAVI DI VENEZIA, SÌ…

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Bocca di lupo (foto Paolobon140, CC)

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Quando un amico affronta un esame, una prova difficile, una partita decisiva, l’augurio più frequente è “In bocca al lupo“. Al quale una volta si rispondeva “Crepi” mentre adesso l’ignobile dittatura del politicamente ed ecologicamente corretto impone di rispondere “Viva il lupo”.

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Pochi sanno, però, che nell’augurio “in bocca al lupo“, i lupi non c’entrano per nulla, neppure di striscio. C’entrano invece, Venezia, la Serenissima, e le sue navi.

“In bocca al lupo”: augurio, non avvertimento

Dall’Accademia della Crusca alla Treccani, molti dizionari e molti repertori di “modi dire” si sono interessati all’augurio “in bocca al lupo“. E tutti riportano a profusione detti, in uso in mezzo mondo, che citano il lupo e l’ancestrale paura del predatore. Ma sono tutti modi dire in negativo: “andare in bocca al lupo”, “cascare in bocca al lupo”, “guarda che finisci in bocca al lupo” sono avvertimenti, non auguri. Invitano a fuggire un pericolo, non certo ad andarci incontro.

Perché “in bocca al lupo” è indubitabilmente un augurio. E non è, ovviamente, l’augurio di venir mangiato dai lupi. E’ un augurio marinaresco: non c’entra con i lupi, non c’entra con la montagna e le foreste, ma con il mare. Con un mare, in particolare: e cioè l’Adriatico. E con lo Stato che per secoli e secoli ha dominato questo mare, imponendo ai traffici commerciali norme, burocrazie e regole ferree. E questo stato fu la Serenissima.

Le norme della Serenissima

Venezia, lo sappiamo, ha dominato l’Adriatico. E ha legittimato questo potere affermando che, essendo Venezia nata sul mare, il mare era il suo territorio. Il mare, tutto: da Venezia in giù, su entrambe le sponde, fino alle bocche di Otranto. L’Adriatico tutto si chiamava allora Golfo di Venezia, e con questo nome è riportato nelle carte. E tutti i traffici che vi si svolgevano dovevano rispettare le norme imposte dalla Serenissima.

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Vincenzo Maria Coronelli, Golfo di Venezia olim Adriaticum mare (Golfo di Venezia, una volta detto Mare Adriatico)

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Dagli Asburgo ai Re d’Ungheria, dal Papa al Regno di Napoli, ci hanno provato in molti, per secoli,  a contestare il diritto che Venezia si arrogava, di dettar legge sull’intero Adriatico. Il Papa minacciò perfino scomuniche e interdetti, ai quali il grandissimo Paolo Sarpi s’incaricò di rispondere, affermando le ragioni di Venezia.

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COME DIVENIMMO “POLENTONI”

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Fu certamente anche grazie all’OFFICIO delle BIAVE, una Magistratura veneta, che nel XVI secolo, come misura per prevenire carestie dovute a cattivi raccolti, incoraggiò la coltivazione del granturco, in alternativa al grano, abbinandolo anche al riso. Il granturco, introdotto nel 1550, forniva un raccolto più abbondante di quello che era stato possibile ottenere prima e si diffuse in tutto il Veneto nel giro di tre generazioni per diventare infine il prodotto principale. 

Anche il riso fu introdotto nel XVI secolo e contribuì in maniera significativa ad aumentare le scorte alimentari. Secondo Pierre Chaunu, il riso fornisce 7,35 milioni di calorie per ettaro, contro 1,51 milioni di calorie del grano. Queste cifre, anche se approssimative, rendono l’idea dell’importanza del riso nell’incremento delle scorte di cibo.

Le calorie fornite dal granturco sono intermedie ma in pratica, determinano la vera differenza la caduta delle piogge locali, e la qualità del suolo. Il riso richiedeva l’inondazione e ciò limitava la sua diffusione a terre piane ed irrigue. Il granturco necessitava di più precipitazioni atmosferiche del grano, ma questi due raccolti erano reciprocamente sostituibili ovunque nel Veneto.

I Magistrati ammassavano delle scorte di grano, granturco e riso, in appositi edifici, per poi introdurre a prezzi calmierati, o, nei periodi di crisi profonda, addirittura distribuire gratuitamente per le classi povere, le scorte accumulate. Traccia di queste provvidenziali usanze le troviamo ancora nella toponomastica di qualche città veneta, anche se con la creazione dello stato unitario italiano, il Grande Fratello di orwelliana memoria, ha fatto scomparire nomi che invece erano carichi di significati. A Padova, tanto per fare un esempio, l’attuale Piazza Garibaldi, era detta fino a metà ‘800, Piazza delle Biave.

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Fonte: SRS DI  MILLO BOZZOLAN · PUBBLICATO 19 SETTEMBRE 2022 · AGGIORNATO 13 SETTEMBRE 2022

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LA PITIMA

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Venezia

Temutissima presenza storica con un rigoroso ruolo nella Serenissima: non era un esattore diretto dei debiti ma uno che ne sollecitava il pagamento in modo pubblico. Coloro che avevano un credito e non riuscivano a riscuotere, si rivolgevano ai servigi della Pitima: questa allora seguiva in continuazione il debitore vestita di rosso (un colore facilmente riconoscibile affinché tutti sapessero che il perseguitato era debitore moroso) gridando a gran voce e additando l’insolvente così da gettarlo nell’imbarazzo e farlo cedere per sfinimento fino a saldare le proprie pendenze.

Era una figura istituzionale commissionata dello Stato, reclutata tra le persone povere ed emarginate le quali godevano di assistenza pubblica in mense e ostelli a loro riservati in cambio della disponibilità su richiesta delle istituzioni. Nonostante la comprensibile insofferenza, il perseguitato non poteva in alcun modo nuocere alla Pitima pena pesante condanna.

Per la Serenissima, la cui prosperità era basata sul commercio, la credibilità dei mercanti e armatori, gli impegni tra privati compresi i debiti di gioco, il rispetto delle regole e gli impegni assunti, venivano considerati obblighi primari facenti parte della struttura stessa dello Stato. 

Pur essendo una democrazia avanzata aperta a tutti e a tutte le idee, vigeva un rigore ferreo delle regole sulle quali non si transigeva.

Dagli antichi fasti di Venezia a tutt’oggi, è un termine ancora usato per indicare una persona insistente e molesta: “ti xe na pitima”

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ORIGINI DELLE CARAMPANE

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Nel 1319 morì a Venezia l’ultimo discendente della ricca famiglia dei Rampani; poiché era senza eredi e non aveva fatto testamento, come in uso nella Serenissima, tutti i suoi beni mobili e immobili passarono alla Repubblica che ne fece buon uso.

In contrada di San Cassian, a cavallo tra i sestieri di Santa Crose e San Polo, essendo parte di questi immobili concentrati in questa zona, e per evitare il vedere vecchie prostitute aggirarsi per le calli in cerca di clienti, decisero di confinare tali prostitute in una zona ristretta della città, creando, forse, il primo quartiere a “luci rosse”della storia, dove anche le vecchie prostitute potessero esercitare la loro professione, naturalmente pagando alla Repubblica le relative tasse, la denominazione da ca’ Rampani a Carampane, visti i soggetti a cui vennero assegnate le case, il passo fu breve,

Nella morigerata Serenissima che di certo non era in linea con le attuali teorie “gender” veniva incoraggiato l’esibizionismo delle Carampane per combattere l’omosessualità assai diffusa a Venezia tra il XV e il XVI sec., va detto che i tribunali dell’epoca lavoravano indefessamente per punire le violenze nate da “atti contro natura”, decapitando e bruciando i malcapitati colpevoli.

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Va anche detto che nel Settecento i veneziani volendo incrementare il turismo (anche sessuale) nella città, le prostitute giovani e belle poterono esercitare nel cuore di Venezia mentre a Ca’ Rampani rimasero solo le più anziane, che vivevano relegate come in ospizio continuando, se potevano, il loro antico mestiere a modicissimi prezzi imposti dal Governo, però con l’assoluta proibizione di mettere il naso per strada perché sgradevoli alla vista.

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IL MEDICO DELLA PESTE,  LA PIÙ INQUIETANTE DELLE MASCHERE VENEZIANE

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Il Medico della Peste è sicuramente la più inquietante delle maschere di carnevale veneziane

Negli ultimi anni, la maschera del Medico della Peste è diventata molto conosciuta, quasi pop, grazie soprattutto a videogiochi di successo come Assasin’s Creed e diversi film. Nell’universo Steampunk, se ne trovano molte versioni. Grazie a questa popolarità, il Medico della Peste, un tempo simbolo terribile di morte e disperazione, viene oggi scelto come costumecosplay o vestito di Halloween.

 Ma com’era e a cosa serviva davvero la maschera del Medico della Peste?

Sappiamo poco sulle origini, ma è noto che la figura del Medico della Peste era diffuso in tutta Europa già nel medioevo. Nel XVII secolo, un famoso medico francese, Charles de Lorme, perfezionò la maschera del Medico della Peste, conferendole l’aspetto che conosciamo.

Questa era una maschera pratica, cioè veniva usata effettivamente dai dottori e chirurghi come uniforme medica per proteggersi dal morbo quando andavano a visitare i malati di peste. 

Il principio era quello di isolare il curante, prevenendo il contatto diretto con i corpi degli appestati. Il vestito, che copriva interamente il Medico della Peste da testa a piedi, era in tela cerata, ben chiusa intorno alla maschera.

La maschera del Medico della Peste copriva il viso con un ovale in cui si aprono due fori tondi, all’altezza degli occhi.

Questi fori erano sigillati da due pezzi di vetro fissati alla maschera. Nella parte inferiore del viso, si allungava un poderoso naso adunco, a mo’ di grosso becco.

Sui lati del “becco”, erano praticati due tagli orizzontali, per far passare l’aria. Il becco veniva poi riempito di erbe aromatiche, così da filtrare e purificare l’aria respirata dal Medico della Peste per evitare il contagio. Secondo la dottrina miasmatico-umorale, il contagio era infatti attribuito all’”aria cattiva”. Possiamo dire che questo fu il primo tentativo di maschera antigas. 

Le mani erano coperte da guanti. La bacchetta, che il Dottore della Peste impugna sempre in tutte le (poche) raffigurazioni antiche, completava l’uniforme. Questa serviva specificatamente a non toccare direttamente i corpi degli appestati.

Il significato profondo del Medico della Peste

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La maschera del Medico della Peste aveva sicuramente un uso pratico ma perché aveva un aspetto così terrificante? Il significato profondo ha probabilmente a vedere con la superstizione e la concezione antica della malattia, più che con le necessità materiali dei curanti.

A qui tempi, non si sapeva nulla di microbi o virus, ma si pensava piuttosto che la malattia fosse portata dagli spiriti, o “influenze negative” che causavano disordine negli umori del paziente. La maschera serviva da una parte a impedire che gli spiriti, attraverso l’aria, entrassero nel corpo del medico e, dall’altra, a spaventarli e scacciarli.

Il Medico della Peste come costume di carnevale, oggi e ieri

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La maschera del Medico della Peste finì per diventare sin dai tempi antichi, un vero costume di carnevale. Come spesso succedeva, il costume aveva un significato apotropaico, ovvero serviva a evocare il male (o meglio, il ricordo del male) per vincerne la paura recondita che tutti nutrivano. 

Il giorno di martedì grasso a Venezia, gruppi di Medici della Peste sbucavano dalle calli, ricordando ai passanti di tornare a più miti costumi, dopo settimane o mesi di bagordi sregolati. Una goliardata, certo, ma al contempo un’usanza che alludeva a una comune coscienza dei terribili anni in cui la peste martoriava la popolazione di Venezia. Una sorta di memento mori durante l’ultimo giorno di carnevale. 

In tutta Europa e specialmente a Venezia, la peste si ripresentava continuamente. Famose sono le pestilenze del 1630 e ancor di più quella del 1575, che sterminò un terzo della popolazione veneziana!

La memoria di tutto questo ormai è perduta, e grazie alla moderna medicina, non possiamo più capire fino in fondo l’angoscia profonda che la maschera del Medico della Peste suscitasse nei secoli passati.

Oggi il Medico della Peste è solo una delle tante maschere di carnevale veneziane o costume di Halloween. Eppure, il suo aspetto terrificante riesce ancora a suscitare un misto di curiosità e inquietudine. Non è un caso che si ritrovi in diversi film e altri prodotti popolari assolutamente contemporanei come i videogiochi. 

Nel modo colorato e bizzarro dei costumi cosplay, il Medico della Peste si ripresenta in varie versioni, anche se spesso più simile ad un uccello terrificante che all’originale. 

Proprio da una fusione tra un Medico della Peste e un corvo nasce poi la versione steampunk della maschera. In effetti, la forza evocativa del Medico della Peste si adatta perfettamente all’universo decadente e corrotto dell’universo steampunk. 

Per noi mascherai di Ca’ Macana, è interessante che la maschera del Medico della Peste continui ad affascinare e incuriosire anche a secoli di distanza dal suo effettivo uso nella vita quotidiana. Per questo, siamo contenti di riproporla tra le maschere decorative e come costume di carnevale.

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Fonte: da CA MACANA.. Maschere di carnevale veneziane

Link: https://www.camacana.com/it/

Archeologia, Archeologia Verona, Lessinia, Storia e arte - Verona, Veneto

SVELATA LA PROVENIENZA DELLA PIETRA DELLA CELEBRE “VENERE” GRAVETTIANA DI WILLENDORF: E’ ITALIANA, DELLA LESSINIA!

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La “Venere” gravettiana di Willendorf

La piccola scultura litica femminile di Willendorf, alta 110 mm, risalente a circa 30.000 anni fa e appartenente alla tipologia delle cosiddette “Veneri” del Gravettiano, è un’autentica icona del Paleolitico, rinvenuta sulle rive del Danubio nel 1908 ed esposta nel Museo di Storia Naturale di Vienna. Recentemente è stata ristudiata da un gruppo di specialisti austriaci e tedeschi, che hanno appena pubblicato uno studio su Scientific Reports. Le analisi condotte con tomografie microcomputerizzate rivelano l’origine, la scelta del materiale e le caratteristiche della superficie nella quale è stata scolpita, una tenera oolite del Mesozoico. Dopo aver campionato molti affioramenti oolitici su un raggio di 2500 km dalla Francia all’Ucraina, è stata trovata una corrispondenza sorprendentemente stretta con la granulometria del calcare oolitico del Lago di Garda, soprattutto dall’area di Sega di Ala nei Monti Lessini, tra Trentino e Veneto. Tutto ciò sembra suggerire una notevole mobilità delle popolazioni Gravettiane così come un trasporto su lunghe distanze di manufatti da sud a nord ad opera di gruppi di cacciatori-raccoglitori sapiens, prima dell’ultimo massimo glaciale.

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